Benanti e Bentivogli alle frontiere della Roboetica
di Marco Zambelli - 01/12/2021
Roboetica Benanti Bentivogli

La diffusione dei robot nei contesti industriali, ma anche la più invasiva presenza di piattaforme e applicazioni che utilizziamo tutti i giorni nei nostri smartphone, pone una serie di problemi che hanno attinenza con la sfera etica. La roboetica è quindi quella parte dell’etica delle tecnologie che studia le implicazioni che scaturiscono dall’interazione uomo-robot, che come spiega Padre Paolo Benanti, docente di teologia morale ed etica delle tecnologie presso la Pontificia Università Gregoriana, sono legate proprio alla natura stessa di questa interazione.

“Nell’interazione uomo-robot occorre fare una grande distinzione preliminare – spiega Benanti -, ovvero che mentre la macchina funziona, l’essere umano vive e ha un’esperienza dell’interazione con il robot, che non è solo di natura razionale ma anche emotiva. L’esperienza dell’interazione con la macchina può quindi essere sia positiva che negativa: la user experience interviene qui per studiare, progettare e minimizzare i possibili effetti negativi che possono derivare dal rapporto con la macchina”.

Le implicazioni etiche diventano quindi ancora più importanti nel momento in cui le macchine acquistano una loro autonomia, e ciò grazie allo sviluppo di algoritmi che consentono loro di elaborare dei risultati su cui vengono prese decisioni, orientando i nostri comportamenti. “In tal senso, gli algoritmi si avvicinano molto a quella che è la definizione stessa di Legge, come ‘dispositivo fatto da un’istituzione per orientare il comportamento delle persone’ – rileva Benanti -. Qui sorge una tensione tra la società degli algoritmi e lo Stato di diritto in cui vorremmo vivere, i cui presupposti sono che la Legge sia conoscibile, universale e generale. Laddove per gli algoritmi non vale nessuna delle tre condizioni, poiché un algoritmo non è conoscibile nelle modalità in cui realmente elabora i dati – e qui è forte il trend verso la explainable AI -, né è universale nel momento in cui profila, e nemmeno generale dal momento che obbedisce solo ai padroni del server”.

Padre Paolo Benanti Pontificia Università Gregoriana roboeticaAltro argomento notevole è legato alla diffusione delle piattaforme software, che oggi acquisiscono quei dati che le persone offrono in cambio di servizi che non pagano. Dati che presi singolarmente non hanno valore, ma che aggregati ad altri rappresentano per gli algoritmi una fonte inconsumabile per estrarre valore, portando a una sorta di capitalismo dei dati. Che comporta un problema etico, richiedendo una specie di ‘algoretica‘ in aggiunta alla roboetica, nel momento in cui si rende necessario fare un bilanciamento tra il rispetto dei diritti fondamentali della persona e gli obiettivi di ottimizzazione del guadagno e della redditività di un processo.

“Un aspetto etico altrettanto rilevante è il decadimento cognitivo cui l’adozione sempre più diffusa di robot e piattaforme può portare con sé – spiega Benanti -. Pensiamo ad esempio nella AI al modulo GPT-3, che da una richiesta in linguaggio naturale è in grado di sviluppare il codice per generare l’applicazione desiderata, ad esempio un certo tipo di sito web. Si tratta naturalmente di uno strumento potentissimo, ma anche di una skill-killer application, poiché chi si vorrà più occupare di sviluppo software se in futuro vi saranno sistemi del genere che possono farlo in automatico”. Per fare un esempio più vicino al quotidiano di tutti, basta pensare al fatto che in passato la memoria delle persone era allenata a ricordare tutti i numeri di telefono delle persone più care, mentre oggi non ne ricordiamo spesso più nessuno, dal momento che abbiamo un assistente digitale nei nostri telefoni che lo fa per noi. E qui la tecnologia induce una sorta di antropomorfismo, curioso evento in cui noi siamo la causa stessa di una mutazione della specie.

E’ pertanto importante anche anticipare e prevedere i possibili sviluppi e gli effetti a lungo termine delle tecnologie, intervenendo anche dal punto di vista normativo su quegli aspetti che è necessario governare per tutelare i diritti fondamentali delle persone, e forsanche la loro stessa natura. Strettamente legato a questo è quindi anche il tema di come cambia lavoro, alla luce dell’ingresso dei robot nelle aziende, come spiega Marco Bentivogli, coordinatore e co-fondatore di BASE Italia.

Roboetica Marco Bentivogli BASE Milano“Oggi serve una nuova narrazione dei robot, che faccia conoscere alla gente che siamo entrati nella seconda età dei robot – afferma Bentivogli -. I robot di oggi non sono più i vecchi robot industriali, visti come qualcosa che toglieva lavoro all’uomo e che ancora oggi sono quelli solitamente coinvolti quando si parla di incidenti sul lavoro. Un elemento che bisogna raccontare è invece soprattutto che le macchine di oggi possono coesistere con l’uomo, e che in questo modo il lavoro si ibrida con la macchina secondo un perimetro dell’operazione e dell’attività che viene deciso dall’uomo stesso e a suo vantaggio”.

All’interno di questa nuova narrazione dei robot odierni, per Bentivogli devono quindi cambiare anche i modi di pensare a impresa e lavoro, liberandosi da vecchie categorie come quelle del controllo e dello sfruttamento. “Il racconto di questa nuova realtà va accompagnato da una visione positiva – continua Bentivogli -, abbandonando idee come quella che la tecnologia porti catastrofi e cancelli il lavoro. Ad esempio, un wearable indossato da un addetto in un magazzino in tal senso è uno strumento che lo aiuta a completare con sicurezza il suo lavoro, senza commettere errori né dover ripetere operazioni per rimediare. Non deve essere visto invece come qualcosa che rende il lavoratore non più autonomo ma etero-diretto. Se poi guardiamo alle tecnologie digitali, queste oggi in azienda scongelano spazio e tempo, rendendo molto più fluida e flessibile la disposizione delle ore di lavoro e di quelle dedicate al tempo libero per le persone. Mentre più cresce la presenza di robot e IoT in azienda, più la prossimità fisica diviene un requisito sempre meno indispensabile, anche nello smart working industriale”.

Un dato evidente e molto importante di come i concetti di lavoro e impresa stiano cambiando in questa seconda età dei robot è quindi il fatto che per gli imprenditori la fatica oggi è percepita come uno spreco, mentre ciò che si ricerca è un maggior ingaggio cognitivo da parte delle persone nel momento in cui i robot si fanno carico delle mansioni più usuranti e ripetitive.

“Il lavoro deve sempre più essere incentrato come una esperienza che qualifica e fa realizzare le persone – conclude quindi Bentivogli -. E’ chiaro altresì che l’adozione di robot e tecnologie digitali comporta uno spostamento, che lascia un vuoto che deve essere colmato sviluppando nuove abilità e capacità cognitive“. In tal senso è fondamentale che nello sviluppo di robot sempre più intelligenti si pensi anche a preservare il lavoro portandolo a un livello superiore che valorizzi la persona, così come in parallelo su un piano sociale più ampio ciò che è da tutelare è la relazione tra le persone. In quanto l’interazione con il robot può dare enormi vantaggi, in termini di sicurezza, di maggior efficienza, ma non potrà e non dovrà mai essere sostitutiva della dimensione relazionale tra le persone. Un valore fondante che pone un principio di antropocentrismo al cuore dello sviluppo dei robot avanzati e delle piattaforme intelligenti, affinché la tecnologia sia sempre al servizio dell’uomo e mai l’inverso.

Se Industria 4.0 si è focalizzata sull’implementazione delle tecnologie abilitanti, l’Industria 5.0 si estende ed abbraccia le problematiche socio-ecologiche.

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