Bicchi e il ruolo dell’interazione nel futuro della robotica
di Marco Zambelli - 15/12/2020
Antonio Bicchi IIT Università di Pisa

La ricerca nel campo della robotica vanta diverse eccellenze in Europa, come dimostrano sia i primi posti detenuti negli indicatori bibliometrici del sistema SciVal (che analizza e valuta quantitativamente la produzione scientifica globale) sia il numero di progetti nel settore robotico finanziati in Europa: un totale di 200, per un ammontare complessivo di 120 milioni di euro, pari al 16,5% del totale riservato alla ricerca, e con un contributo italiano del 13%.

Tra questi figura anche il progetto Phriends, Physical human-robot interaction. Dependability and safety, guidato da Antonio Bicchi, ricercatore dell’IIT, docente di robotica all’Università di Pisa, con attività anche presso il centro di ricerca Enrico Piaggio dell’ateneo, e presidente di I-RIM, istituto di robotica e macchine intelligenti.

“La ricerca europea sulla robotica negli anni 2000 ha visto una serie di progetti fondamentali, Phriends certamente, ma anche altri come SME robotics e Saphari – illustra Bicchi -. Con questi si è posta grande attenzione sugli aspetti della sicurezza e della affidabilità delle macchine. In Phriends sono stati fatti in particolare i primissimi esperimenti di valutazione qualitativa della sicurezza, che hanno poi permesso di stabilire degli standard che hanno abilitato la grande crescita dei cobot che vediamo oggi”.

Nel futuro della cobotica Bicchi vede quindi diverse possibili interessanti applicazioni, come ad esempio nell’ergonomia del lavoro. Ad oggi i disordini muscolo-scheletrici rappresentano un costo enorme per le persone e l’economia. Un nuovo progetto in corso, finanziato dal programma Horizon 2020 e chiamato Sophia, mira a utilizzare i cobot per sostenere e migliorare le condizioni ergonomiche, indicando alle persone come lavorare meglio.

“Un altro importante tema è quello dell’impiego dei cobot per rendere la produzione sostenibile, ad esempio nel riciclaggio delle parti elettroniche – prosegue Bicchi -. La grande crescita dell’IoT comporta che moltissimi rifiuti in futuro conterranno elettronica, che è in parte costosa e in parte pericolosa, come per i componenti che contengono berillio. L’idea è allora di utilizzare i cobot dapprima per separare i contenuti preziosi e pericolosi, per poi procedere a polverizzare i rifiuti, al contrario di quanto avviene oggi”.

Antonio Bicchi cobot IIT Università di PisaInfine, fissato che sia il tema della sicurezza nelle applicazioni collaborative, il prossimo grande tema da affrontare secondo Bicchi è la riduzione del costo della programmazione. Oggi infatti il 60-70% del costo complessivo di un robot è da attribuirsi alla scrittura del software.

“Pensiamo alla sfida posta dalla presa e manipolazione di oggetti – illustra il professore -: gli oggetti con cui si può avere a che fare sono migliaia, milioni. Come è possibile automatizzare una operazione di una tale complessità? Tradizionalmente per afferrare gli oggetti si possono impiegare industrial grippers, ma la programmazione di questi componenti è molto costosa. Per creare un software per la manipolazione una ipotesi è fare ricorso a deep learning e big data. Con alcuni esperimenti si è però visto che con 700 ore di prove di presa di oggetti è possibile giungere ad avere l’80% di successo, mentre dopo 8.000 ore si può arrivare al 90%. Quanto ci vorrà per arrivare al 99,9%, che è quanto vorremmo avere nelle nostre aziende? Tutto ciò ci fa pensare che forse il deep learning nella robotica non sia la soluzione del futuro”.

Una prospettiva diversa giunge dall’interazione tra uomo e macchina, allo studio in alcuni recenti esperimenti di programmazione per dimostrazione e di programmazione della collaborazione nel montaggio di oggetti, dove si sfrutta la compresenza tra uomo e cobot. Oltre alla robotica soft rappresentata dalla soft hand sviluppata dall’IIT con l’università di Pisa, che offre maggiore flessibilità e permette di interagire con l’ambiente in maniera intelligente, con una programmazione molto semplice.

“Poniamoci la domanda: quanti esempi servono davvero per imparare? I bambini e le persone imparano anche con un solo esempio – spiega quindi Bicchi -. In questi esempi di programmazione per dimostrazione che stiamo conducendo si vede come l’intelligenza del robot sia sufficiente a capire, da un solo esempio, come svolgere un certo compito. E’ un esempio di astrazione che usa un certo numero di caratteristiche viste. Una prima astrazione è quella della AI che sta dietro al cobot, la seconda è quella dell’intelligenza fisica insita nelle parti stesse del robot, il braccio e la mano, che riescono a effettuare prese che hanno una loro intrinseca intelligenza in ciò che fanno. In tale direzione, il futuro della robotica collaborativa sta quindi nella facilitazione della programmazione, che sarà la vera chiave per rendere questi robot usabili da tutti, aprendo nuovi mercati. In tale ottica serve però anche un nuovo paradigma nella AI, che faccia passare dall’esperienza dell’interazione, che ha costi troppo elevati, ad una intelligenza dell’interazione, facendo leva sulla presenza e sulla possibilità di interagire e cooperare con l’uomo”.

Se Industria 4.0 si è focalizzata sull’implementazione delle tecnologie abilitanti, l’Industria 5.0 si estende ed abbraccia le problematiche socio-ecologiche.

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