Innovazione sotto pressione: l’esempio di Gefran
25/01/2021
Gefran Open Innovation

Fondata da Ennio Franceschetti, attualmente presidente onorario del Gruppo, e guidata da Marcello Perini, attuale AD, Gefran è oggi un ‘family business dal respiro internazionale’ come l’ha definita la presidente, Maria Chiara Franceschetti, alla continua ricerca di innovazione. Come? Ce lo hanno illustrato in occasione del live webinar sul tema, intitolato per l’appunto ‘Innovazione sotto pressione’.

Punto focale dell’incontro la consapevolezza che per ‘fare innovazione’ la tecnologia è sì fondamentale ma da sola non basta: occorrono menti pronte, persone che quotidianamente si impegnino nel loro lavoro sapendo di poter ‘fare la differenza’, che si mettano in gioco senza timore del nuovo. “Il successo di Gefran è costruito sulle persone che sono al centro dell’innovazione, così come insito nel nostro concetto ‘InnoWay’. Con esso intendiamo quel percorso che definisce chi siamo e come agiamo, l’insieme dei valori sui quali misurare la nostra coerenza fra ciò che diciamo e ciò che facciamo; la guida nelle decisioni che prendiamo ogni giorno in ogni ambito della vita aziendale e in ogni processo; lo spirito con cui lavoriamo con i clienti e che ci contraddistingue, consapevoli del fatto che ‘il futuro è il nostro presente’ e si costruisce fin d’ora” afferma Franceschetti.

Un futuro dove i giovani non possono che essere protagonisti. Da qui la necessità di coinvolgere anche soggetti al di fuori dell’azienda, soprattutto i giovani studenti e i loro professori, lavorando insieme nella direzione condivisa dell’innovare.

L’innovazione è ‘aperta’: Open Innovation
In quest’ottica la multinazionale italiana specializzata nella progettazione e produzione di sensori, strumentazione per il controllo di processi industriali, azionamenti elettrici e sistemi per l’automazione, ha lanciato nell’ottobre 2019 una challenge attraverso il portale Open Innovation di Regione Lombardia, mettendo poi a disposizione budget, risorse e know-how per trasformare le idee raccolte in progetti concreti. “Open Innovation è un’iniziatica che abbiamo molto apprezzato, aderendo alla quale abbiamo avuto la possibilità di entrare in contatto con menti brillanti, che hanno concepito idee innovative per ottimizzare componenti e processi industriali” afferma Perini.

“L’idea alla base della piattaforma Open Innovation è quella di facilitare l’incontro fra aziende e giovani promuovendo la cultura del network e dell’ecosistema per fare innovazione” illustra Fabrizio Sala, vice presidente e assessore per la Ricerca, Innovazione, Università, Export e Internazionalizzazione della Regione Lombardia. “Gefran si è dimostrata in questo lungimirante, comprendendo che non sempre le idee migliori nascono ‘in casa’ ma a volte vanno cercare altrove, valorizzando i talenti. Per ora la piattaforma ha raccolto 22 sfide italiane e 7 internazionali, sempre con l’obiettivo di far incontrare chi è alla ricerca di innovazione e chi invece la produce; poi ci siamo anche accorti che è un ottimo mezzo per il mercato del lavoro, sia per chi esce dall’università e cerca lavoro, sia per le aziende che cercano personale qualificato per il proprio business. Un duplice beneficio, dunque!”.

Innovazione è condivisione
E che l’innovazione nasca spesso dalla collaborazione e condivisione delle idee lo prova l’esperienza unica di RobotCub, un progetto nato nel 2004 grazie a un investimento della UE e con il coinvolgimento di svariati partner Europei e poi a livello mondiale. “Questo progetto ci ha consentito di realizzare un robot umanoide che fosse dedicato alla ricerca, utilizzando ‘open hardware, open software, open mind’” racconta Giorgio Metta, direttore scientifico dell’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT), nonché consigliere indipendente del CdA di Gefran. “Si è trattato del primo passo per realizzare un sogno, ovvero sviluppare macchine in grado di lavorare a stretto contatto con l’uomo moltiplicandone le capacità. Questa la visione di lungo termine ma alcune cose concrete si possono fare fin d’ora. Il robot che è stato realizzato ha delle mani che gli permettono di manipolare gli oggetti, acquisire informazioni tramite la manipolazione degli oggetti; è coperto di sensori tattili grazie ai quali può ‘sentire’ interazione con l’uomo e l’ambiente che lo circonda”.

“È un progetto aperto” prosegue Metta “sia dal punto di vista dell’hardware e software che impiega, sia perché è a disposizione dell’intera comunità scientifica. Sono state finora scritte 6 milioni di righe di codice software, questo dimostra quanto la community che vi lavora sia fra le più attive al mondo; il suo sito è fra i più visitati nell’ambito dei progetti open source. Sono stati infatti realizzati anche più robot, tutti uguali, che vengono impiegati nei diversi centri di ricerca che poi condividono via software i risultati delle ricerche, pertanto la sperimentazione prosegue velocemente. Le sperimentazioni avvengono anche tramite eventi aperti come hackathon, con 30-50 ragazzi che lavorano per alcune settimane sul robot per imparare a usarlo e intanto sviluppare idee. Anche le università partecipano” spiega Metta, che prosegue: “Gestire comunità di questo tipo è complesso, ci sono tanti attori che lavorano in direzioni diverse e mantenere coeso il progetto non è banale, ma la ricchezza viene proprio dalla condivisione delle informazioni e dalla collaborazione verso un intento comune. Occorrono tempo, entusiasmo, un approccio aperto, e superate le difficoltà, si può davvero fare molto nel solco dell’innovazione”.

Le missioni spaziali sono forse l’esempio più lampante di come per innovare occorre ‘remare tutti nello stesso verso’, impegnarsi ognuno al meglio nel proprio campo per il raggiungimento di un obiettivo comune, proprio come hanno fatto i ricercatori della Nasa che nel 1969 hanno portato per la prima volta l’uomo sulla Luna: “Fu Kennedy con un memorabile discorso pronunciato il 12 settembre 1962 a dare impulso al lavoro che avrebbe spinto la Nasa a portare il primo uomo sulla Luna battendo i concorrenti sovietici, che erano all’epoca ben più avanti nelle ricerche sui voli spaziali” spiega Paolo Nespoli, astronauta, ingegnere e astrofotografo.

“Quando gli americani hanno visto lo Sputnik passare sopra le loro teste senza colpo ferire, hanno subito capito che la corsa alle missioni spaziali era fondamentale da vincere anche per questioni di sicurezza nazionale. Ma solo con il discorso di Kennedy le cose cominciarono davvero a muoversi. Li mise ‘sotto pressione’. Disse che sarebbero andati sulla Luna in quel decennio e che dovevano farlo non perché fosse facile, ma proprio perché difficile: fu lo stimolo giusto”. Per innovare occorre uno stimolo, un traguardo che ci si deve porre che non deve essere troppo semplice da raggiungere e attorno al quale si possa catalizzare l’interesse di tutti. “Avere un obiettivo condiviso ha spinto tutta l’organizzazione verso il raggiungimento dell’obiettivo stesso, accelerando il processo di innovazione. E lo stesso vale per le imprese oggi che vogliono fare innovazione con successo”.

E se la pressione non c’è, come si innova? “Certo in azienda è compito dei leader porre gli obiettivi ma anche i ‘follower’ hanno grandi responsabilità, non devono essere semplici ‘gregari’ ma proporre soluzioni proattivamente; le aziende che vogliono innovare dovrebbero trovare il modo di far competere i propri collaboratori pur mantenendoli ‘amici’, favorendo la collaborazione senza però che l’impegno del singolo venga meno” conclude Nespoli: una ricetta che Gefran ha fatto subito propria.

Gefran ha seguito tutto il percorso della challenge, dalla creazione delle idee all’identificazione dei team, all’elaborazione dei progetti, fino alla loro selezione, seguendo diverse fasi e impegnando i gruppi in competizioni di vario genere. “Due erano temi della challenge, entrambi pensati in un contesto di Industria 4.0: impiegare tecniche di analisi dei dati ai fini dell’ottimizzazione del consumo energetico del processo da un lato, della manutenzione dall’altro” racconta Davide Alghisi, innovation manager di Gefran. Elaborando infatti tramite particolari algoritmi i segnali provenienti dai sensori di un macchinario, è possibile identificare situazioni di anomalia per attuare scelte di manutenzione predittiva.

Individuare componenti usurati, per esempio, permette ai clienti di risparmiare evitando fermi macchina imprevisti: “Tra tutte le idee emerse, ne abbiamo infine selezionate due, entrambe legate al tema della manutenzione predittiva, sulle quali investiremo per farne soluzioni effettive. Esse prendono in esame nuove tecniche di diagnostica integrata per misurare la coerenza delle informazioni inviate da un sensore di pressione in un caso, un sensore lineare dall’altro, per essere ri-elaborate dagli algoritmi di manutenzione” prosegue Alghisi. Un’indicazione di anomalia potrebbe infatti anche rivelarsi errata e non corrispondere al vero per un guasto proprio nel sensore che la va a rilevare. “Ora, al termine di questo percorso, dopo un anno, possiamo dire di aver sperimentato una nuova modalità di incontro fra università e azienda, che stimola i giovani all’innovazione e permette alle aziende di attingere all’energia del mondo universitario per dare valore aggiunto ai clienti” conclude Alghisi.

Se Industria 4.0 si è focalizzata sull’implementazione delle tecnologie abilitanti, l’Industria 5.0 si estende ed abbraccia le problematiche socio-ecologiche.

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