Saper dare libertà di iniziativa ai collaboratori, capacità d’ascolto, fiducia e propensione alle logiche dello smart working, sono queste le competenze del buon capo in era di Industria 4.0 che emergono dalla ricerca ‘Good boss vs Bad boss’ avviata nel 2017 dalla Liuc Business School. Alla domanda di base ‘Consiglieresti ad altri il tuo capo come persona con cui lavorare?’, l’80% delle oltre 600 persone intervistate nell’indagine ha risposto ‘No’.
L’indagine, realizzata dal Centro sul cambiamento, la leadership e il people management della Liuc Business School aveva lo scopo di misurare il Net management promoter score dei capi italiani, e il campione degli intervistati afferiva a svariati settori, con prevalenza dell’industria. “Tutti conosciamo intuitivamente le caratteristiche di un capo efficiente – dice Vittorio D’Amato, direttore del centro sul cambiamento della Liuc Business School -, come essere un buon coach, avere carisma e saper motivare e ispirare le proprie persone. La nostra ricerca è partita dai collaboratori per cercare di definire quanto i lavoratori italiani siano propensi a consigliare il proprio capo ad amici, colleghi e familiari come una persona con cui lavorare”.
Gli intervistati potevano quindi assegnare un voto da 1 a 10 a una serie di comportamenti che inducono a consigliare il proprio capo, e a quelli che portano invece a sconsigliarlo. Ed ecco quanto emerso dalle risposte, come continua a illustrare D’Amato: “Il comportamento più votato è la capacità di lasciare ai collaboratori un ampio grado di libertà nel modo in cui si conseguono i risultati, segnalato dal 54,76% degli intervistati. Segue quindi la disponibilità all’ascolto per un confronto e ad accogliere le loro opinioni. Il trend che emerge qui è caratteristico dei millennials, più orientati rispetto alle generazioni precedenti a una gestione autonoma del lavoro. Questi dati guardano quindi in direzione di modalità di lavoro innovative, come smart working, flessibilità nei tempi e nei luoghi di lavoro e anche alla conciliazione tra vita e professione. Il senza perdere in produttività, agevolando anzi il raggiungimento di nuovi successi anche con il supporto della tecnologia”.
La capacità di ascolto dei collaboratori è indicata dal 45% dei rispondenti, e a seguire compaiono il non aver paura nel prendere decisioni difficili, importante per il 40%, e la capacità di fissare obiettivi chiari, segnalata dal 38%. “La mancata definizione di ruolo e responsabilità chiare – continua D’Amato – compare invece al primo posto tra i comportamenti che inducono a non consigliare il proprio capo, per il 33,38% degli intervistati. La stessa capacità in positivo compare invece tra i meno rilevanti che portano a consigliare un capo, ma il paradosso è solo apparente, in quanto si tratta di una capacità ritenuta primaria in un dirigente e data quindi per scontata tra i fattori positivi”.
Analogamente, quindi, in fondo alla classifica dei fattori che non inducono a raccomandare il proprio capo c’è proprio il non lasciare ampia libertà ai collaboratori, che spicca invece al top delle caratteristiche del capo ideale. “Prendendo abbrivio dalla ricerca, vogliamo proseguire con una riflessione sistematica sui temi dell’engagement – conclude infine D’Amato – da condurre sempre in sinergia con manager e collaboratori. I risultati ci confermano una tendenza a livello internazionale: secondo una ricerca Gallup, nel 2017, infatti, l’87% dei collaboratori si dichiarava disengaged. Vogliamo invitare i manager a riflettere con attenzione su questo dato, e in ultima analisi il monito da rivolgere loro può essere che il modo in cui tratteranno i loro collaboratori sarà lo stesso con cui questi tratteranno i clienti”.